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     ≡  Si impara di più dalle donne che dagli uomini


  
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Bandito
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BM76
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# 1 ≡ Si impara di più dalle donne che dagli uomini
»04.08.08 - 19:27
Un pò datato ma d'effetto ;-)


Attualità
Dal mondo
Giovani Night hospital
Lo chiamano ospedale del sabato sera, vi vengono curati i ragazzi vittime d'incidenti stradali. A Monte Catone, vicino a Imola e alle discoteche
di Andrea Chiarini
Foto di Ettore Moni
Arrivarci non è facile. Dalla via Emilia, sempre più schiava del traffico, bisogna imboccare una stradina secondaria tutta curve che ti conduce in cima a una collina. Lì infilare un cancello dall'aria abbandonata. Percorrere un tunnel di verde che sembra portarti fuori dal mondo e che invece s'apre all'improvviso su una vecchia palazzina a tre piani, che tutto potrebbe sembrare tranne che un ospedale. Che la via sia giusta lo si intuisce solo alla fine. Il centro di riabilitazione Monte Catone, tra Imola e Bologna, ti appare nel mezzo del bosco quando meno te l'aspetti. Una struttura essenziale, cruda come impatto, per forza di cose vecchia, costruita per essere un sanatorio quando la tubercolosi si curava col mangiar sano e l'aria buona e diventata un luogo di recupero non solo fisico, tra sacrifici e fede, per chi ce l'ha. Trovare l'ingresso è un'altra piccola impresa. Nessuna insegna aiuta il visitatore a orientarsi. Ma di solito non ce n'è bisogno, perché a guidare fin quassù ogni anno centinaia di ragazzi e le loro famiglie è un tam tam di disperazione e speranza che non s'arresta mai. Monte Catone lo conoscono tutti come "l'ospedale di quelli del sabato sera", e - sarà il destino? - si trova proprio nel bel mezzo della Romagna, tra la via Emilia e le discoteche della vicina riviera, dove al sabato sera sono in tanti a rischiare spingendo il pedale dell'acceleratore come se fossero in pista. Per la verità né i medici, né i ricoverati badano più di tanto all'aspetto estetico dell'immobile. Monte Catone è uno dei tanti misteri della sanità italiana, i suoi muri paiono star su a dispetto di tutto e tutti. È questo forse il vero miracolo che si rinnova di continuo su questa collina. Da più di vent'anni qui si combatte per regalare un futuro a chi non ci crede più. Lo si fa in stanze e corridoi che nessuno imbianca più da chissà quando, ma poco importa. Gli sforzi di tutti si concentrano su ben altro, e al diavolo tempi e modi di una burocrazia che blocca da sempre propositi di ampliamento e ristrutturazione, anche se ora, con l'arrivo dei privati nella società mista che ha in mano la baracca, le cose potrebbero cambiare. Sono i ventenni che si schiantano in auto nel dopo discoteca a riempire le corsie. Sono i sopravvissuti, con gravi menomazioni, che pagano un prezzo altissimo. Sono in maggioranza ragazzi, le donne si contano sulle dita di una mano. Quasi tutti hanno la schiena spezzata, le gambe o le braccia paralizzate. E una piccola storia da raccontare. "Colpe? Nessuno ne ha, doveva andare proprio così", spiega Giovanni, 32 anni, di Foggia, rassegnato come chi si piega alla Provvidenza sapendo che altro non può fare, dopo essersi fatto mille e una domanda senza risposta. "Mi manca la famiglia, mia moglie e i miei due figli, che posso vedere solo di tanto in tanto". Entrare nella palestra del day hospital è un pugno allo stomaco. Vedi giovani aggrappati alle parallele, che stringono i denti per stare in piedi anche un solo secondo, sorretti dal fisioterapista Mauro Baruzzi che giorno dopo giorno diventa un amico, un fratello, un padre. Non importa se per non crollare si devono calzare stivali ortopedici che arrivano sopra al ginocchio o indossare busti che tolgono il fiato. I ragazzi lo sanno: bisogna alzarsi perché questa è la cura migliore, ogni ora, ogni giorno, per sempre. "Se molli per una settimana è finita, non recuperi più il tono muscolare", dice un paziente mentre si riposa. Un caffè, Certe notti di Ligabue a basso volume, qualche poster di motociclisti famosi alle pareti, tante cartoline spedite da chi è passato da queste camere. Piccole cose che rendono più familiare lo stanzone dove i ragazzi si mettono alla prova e i genitori di tanto in tanto non ce la fanno più e abbassano gli occhi. La scena è la stessa al piano superiore, quello dei ricoveri. Le palestre sono tre, le storie le stesse. Maurizio, 29 anni, di Sesto Imolese, è pronto per il suo turno. È arrivato a Monte Catone da pochi giorni. "Stavo facendo motocross da solo in un campo e sono arrivato troppo veloce su un dosso. Mi sono spaventato, ho mollato la moto per evitare che mi cadesse addosso, ma l'impatto è stato duro lo stesso. Così, eccomi qua con due vertebre lesionate". Nei corridoi il via vai di infermieri e pazienti è continuo. Le carrozzelle vengono messe da parte, vuote, gli zainetti appesi allo schienale. E vuote, secondo la direttrice del centro Maria Antonietta Vannini, devono restare. La sua è una battaglia contro i "mistificatori della carrozzina" iniziata nel '73, quando aprì da primario questo padiglione. "Anche i mezzi di informazione", spiega indignata la professoressa Vannini, "condannano questi ragazzi a vita sulla carrozzella. Sei invalido? Non ti potrai mai più muovere con le tue gambe. E invece noi dal primo giorno di ricovero diciamo ai pazienti che devono rimettersi in piedi. La carrozzella nel giro di pochi anni provoca danni irrimediabili. Dalla scoliosi, alle piaghe, all'indebolimento delle ossa. Ci sono ragazzi che si rompono una gamba solo per essersi messi le scarpe da ginnastica. Dicono che qui facciamo i miracoli. Non è vero. Ma su questo punto siamo esigenti: bisogna lavorare tutti i giorni per scoprire quali siano i margini di miglioramento possibili, per spostarli sempre più avanti. Qui arrivano persone giovanissime che hanno ancora una vita davanti. Non possiamo condannarle a stare sedute per sempre. Noi le aiutiamo a reagire con l'ausilio della terapia e delle attrezzature di cui disponiamo. Nessun miracolo, quindi, anche se le statistiche ci confortano: il quaranta per cento dei nostri pazienti escono dall'ospedale non più schiavi della carrozzella". I numeri di Monte Catone sono impressionanti. I pazienti sono 750 all'anno, 550 sono i ricoveri (cinquanta i letti disponibili), gli altri passano in day hospital. L'ottanta per cento dei casi sono conseguenze di incidenti stradali, ma sono in crescita le lesioni alla spina dorsale a causa di ferite provocate da armi da fuoco. "Più che del sabato sera", continua la direttrice, "queste sono vittime del week end. È impressionante leggere i dati, la maggior parte degli incidenti stradali gravi si concentra nei fine settimana e durante i ponti festivi. Non è solo il dopo discoteca a incidere. In tutti i casi la responsabile principale è l'alta velocità. Le cinture di sicurezza e l'air bag possono fare poco quando non si rispettano i limiti. Anzi, su questo punto ho molti dubbi. La cintura ad esempio protegge il corpo, ma espone il collo a rischi maggiori, perché è su questo punto che si concentra tutta la forza dell'urto. E una lesione alla cervicale può significare la paralisi totale. Non so, non mi sentirei di fornire risposte certe sulla sicurezza passiva. È un problema complesso. E quando vedo ragazzi che possono muovere soltanto le palpebre. ho molte perplessità". Da luglio per "l'ospedale del sabato sera" è iniziata la fase della privatizzazione, che dovrebbe coincidere con il potenziamento e la riqualificazione della struttura. Al Comune e all'Asl di Imola si sono affiancati, per ora con una quota minoritaria, alcuni imprenditori guidati dal modenese Piero Ferrari, il figlio del Drake. L'ospedale resta comunque a regime pubblico, non si paga cioè per le prestazioni fornite. Entro il '98 verranno ricavati altri trenta letti, che diventeranno 140 quando verrà riaperto un padiglione che per adesso è inutilizzabile. "Lo dica", è il messaggio di un papà all'uscita, "prima di mettersi a girare il mondo alla disperata ricerca dell'ospedale ideale vale la pena almeno di tentare qui, a Monte Catone".

Lavorerò al computer L'incidente il 7 giugno scorso, il ricovero a Monte Catone il 23 dello stesso mese. Da allora, a casa Gabriele Tronconi, 20 anni, ci è andato solo qualche volta in permesso. Abita a pochi chilometri da qui, a Toscanella di Dozza. "Mio padre fa l'infermiere, in questo ospedale ha lavorato per quattro anni. Ma io, prima, nemmeno sapevo che c'era questo posto". Il suo è un classico incidente del sabato sera. "Guidavo io, con me c'era un amico. Stavamo tornando da una discoteca di Bologna alle quattro del mattino. Abbiamo fatto una strada secondaria che conosco bene. O almeno credevo. Andavamo veloci, l'asfalto era stato appena rifatto e mancavano le linee bianche. Sono arrivato troppo forte in una doppia curva, forse ero stanco, resta il fatto che sulla prima ho tenuto la macchina, mentre sulla seconda siamo volati fuori. Sono stato mezz'ora capovolto in attesa dei soccorsi. Ho capito subito, perché non mi sentivo più le gambe. Il mio amico era sotto choc, ma illeso". Gabriele, paralizzato dalla vita in giù, dovrebbe essere dimesso a giorni: "Ho voglia di tornare a casa, di uscire con gli amici. Abbiamo rifatto il bagno, alzato le tavole: cose che servono per renderti la vita più facile. Prima lavoravo, sono perito metalmeccanico, spero di trovare un occupazione al computer, perché ora non potrei fare altro".

Stavo andando in pista "E pensare che quel giorno stavo andando in circuito a correre...". Ha 21 anni Jacopo Martini, ferrarese, le auto nel sangue, una passione ereditata da una famiglia di piloti. Il papà Giancarlo ha corso a lungo tra l'Italia e l'Inghilterra, il cugino Pierluigi è arrivato in F1 e lui si era appena affacciato al mondo della velocità. "Avevo fatto due gare in Formula Fiat", racconta su un terrazzo del centro di Monte Catone, "dovevo debuttare nella Renault Campus, ma a quell'appuntamento non ci sono mai arrivato". Il 7 aprile dell'anno scorso, Jacopo ha un incidente mentre con alcuni amici sta andando sulla pista di Magione, in Umbria. "Eravamo in quattro, io ero a fianco del guidatore. Andavamo veloci, dopo una curva sulla superstrada ci siamo trovati di fronte due vetture ferme e non abbiamo potuto evitare l'impatto. Avevo le cinture di sicurezza e l'air bag, sono stato l'unico a farmi male. In un istante la mia vita è cambiata". Martini ha riportato nell'incidente lesioni all'esofago e al midollo. Risultato: otto mesi senza riuscire a mangiare né bere inchiodato a un letto d'ospedale. Poi la convalescenza e l'arrivo a Monte Catone. "Lo ricordo benissimo, era il 19 novembre 1996. Dissi subito a mio padre: "Portami via, qui non ci voglio stare. E invece... Ti rendi conto, un po' alla volta, quanto sia importante l'esercizio fisico, la terapia. Quando arrivai faticavo persino a restare seduto sulla carrozzella. Adesso va meglio, riesco a reggermi un po' e a stare in piedi anche se con l'aiuto del fisioterapista. È una fatica enorme: un chilo pesa quanto un quintale". Jacopo adesso fa terapia in day hospital tre, quattro giorni alla settimana. "Ma lavoro per ore anche a casa dove ho una piccola palestra. Al Gp di Imola quest'anno ho incontrato Frank Williams (il team manager di F1 paralizzato dopo un incidente stradale, ndr). È stato gentile, ha risposto alle mie domande. Mi ha spiegato che i primi due anni sono decisivi. Io mi sto concentrando proprio su questo: recuperare il prima possibile. Al resto penserò più avanti".

http://dweb.repubblica.it/dweb/1997/11/04/attualit/dalmondo/071hos7471.html


Curiosità storico geografica, ma Monte catone prende nome da catone il censore? 8-)

[ Modificato da BM76 04.08.2008 - 20:32 ]
Cum grano salis.
Ingegnere rispettoso della LEGGE 10 ottobre 1990, n. 287
:-D

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